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Art. 8 Diritto al rispetto della vita privata e familiare. Caso A.I contro Italia (Corte EDU, sentenza del 1 aprile 2021)

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE
CAUSA A.I. c. ITALIA

(Ricorso n. 70896/17)

SENTENZA

Art. 8 • Vita familiare • Vittima di tratta, di origine nigeriana, privata di qualsiasi contatto con le sue figlie nonostante le raccomandazioni degli esperti e addirittura prima della decisione definitiva sulla loro adottabilità • Procedura sull’adottabilità delle minori pendente da più di tre anni • Interessi superiori delle minori non considerati preminenti • Mancata considerazione della vulnerabilità della madre vittima di tratta • Valutazione delle capacità genitoriali della madre senza considerare la sua origine nigeriana né il diverso attaccamento tra genitori e figli nella cultura africana.

STRASBURGO

1° aprile 2021

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite dall’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa A.I. c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita in una Camera composta da:
Ksenija Turković, presidente,
Krzysztof Wojtyczek,
Alena Poláčková,
Gilberto Felici,
Erik Wennerström,
Raffaele Sabato,
Lorraine Schembri Orland, giudici,
e da Renata Degener, cancelliere di sezione,
Visto il ricorso (n. 70896/17) proposto contro la Repubblica italiana da una cittadina nigeriana, la sig.ra A.I. («la ricorrente»), che il 13 ottobre 2017 ha adito la Corte ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»),
Vista la decisione di portare il ricorso a conoscenza del governo italiano («il Governo»),
Viste le osservazioni delle parti,
Vista la decisione con la quale la Corte ha deciso di non divulgare l’identità della ricorrente,
Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 9 marzo 2021,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

INTRODUZIONE

1. La causa verte sull’impossibilità per la ricorrente, madre di due figlie, di esercitare un diritto di visita a causa del divieto di contatti disposto dal tribunale nella sua decisione sullo stato di adottabilità, mentre la procedura sull’adottabilità delle figlie è ancora pendente da più di tre anni.

IN FATTO

2. La ricorrente è nata nel 1981 e risiede a Roma. È rappresentata dall’avvocato S. Fachile.

3. Il Governo è stato rappresentato dal suo ex agente alla Corte europea dei diritti dell’uomo, E. Spatafora, e dal suo ex co-agente, M.G. Civinini.

4. La ricorrente, una cittadina nigeriana, arrivò in Italia in una data non precisata in quanto vittima di tratta di esseri umani. È madre di due figlie, J. e M., nate rispettivamente il 17 gennaio 2012 e il 20 maggio 2014.

5. A partire da aprile 2014, la ricorrente e sua figlia, J., furono ospitate presso il centro di accoglienza di «Via Staderini» di Roma.

6. Il 19 giugno 2014 M. fu ricoverata in ospedale a Roma a causa di una varicella. I medici le diagnosticarono un’infezione da HIV. Secondo le informazioni dell’ospedale, la ricorrente si era opposta all’avvio di un percorso terapeutico, peraltro necessario per la minore che presentava un quadro clinico serio.

7. Il 25 giugno 2014 il procuratore presso il tribunale per i minorenni (di seguito «il tribunale») presentò al tribunale una richiesta di sospensione della responsabilità genitoriale della ricorrente nei confronti di sua figlia M.

8. Il 2 luglio 2014 il tribunale accolse la richiesta del procuratore, nominò il sindaco di Roma tutore della minore e ordinò a quest’ultimo di collocarla – una volta dimessa dall’ospedale – in una casa di accoglienza con divieto di andarla a prendere o di allontanarla senza l’autorizzazione del tribunale. Chiese alla procura di verificare se l’altra figlia della ricorrente, J., si trovasse in situazione di pericolo.

9. Il 17 luglio 2014 M. fu collocata nella casa di accoglienza «Gruppo Appartamento Il Girotondo».

10. Il 18 luglio 2014 il procuratore chiese al giudice di ordinare una misura di protezione nei confronti della figlia maggiore della ricorrente, J.

11. Il 30 ottobre 2014 il tribunale constatò che la madre rifiutava che la figlia maggiore, J., fosse sottoposta a degli esami diagnostici, che la minore viveva in un centro di prima accoglienza inadatto alle sue esigenze e che la madre rifiutava che fosse trasferita in una casa di accoglienza.

12. Con una decisione del 27 novembre 2014, il tribunale decise di sospendere la responsabilità genitoriale della ricorrente sulla figlia maggiore, J. Nominò il sindaco di Roma pro tempore tutore provvisorio della minore e lo incaricò di collocarla, insieme alla madre, se quest’ultima acconsentiva, in una struttura di accoglienza adeguata con divieto per chiunque di ritirarla senza l’autorizzazione del tribunale. Ordinò di verificare lo stato di salute di J. e incaricò il centro di assistenza per l’infanzia maltrattata (di seguito il «centro») di effettuare una valutazione urgente della personalità e delle capacità genitoriali della ricorrente, dell’esistenza di risorse necessarie per occuparsi delle figlie e del livello psicofisico della minore J.

13. La ricorrente e J. furono trasferite in un’altra struttura di accoglienza.

14. Il tutore informò il centro che la ricorrente delegava spesso la sorveglianza della figlia per poter uscire, che la affidava a persone non autorizzate, e che non si preoccupava delle condizioni di salute della bambina, poiché non ritirava i risultati degli esami effettuati.

15. J. fu ricoverata in ospedale dal 27 febbraio al 10 marzo 2015.

16. Il 10 marzo 2015 la casa di accoglienza e il centro che seguiva la famiglia sottoposero al tribunale una relazione sulla situazione delle minori e sull’evoluzione dei rapporti con la ricorrente.

17. Il 14 maggio 2015 il tutore chiese al tribunale di poter continuare a osservare la relazione tra la minore, J., e la ricorrente per verificarne i progressi, di permettere alla madre di uscire liberamente con la bambina, e di mantenere la frequenza delle visite con J., limitata a una a settimana. Il procuratore chiese che la ricorrente e le due figlie fossero collocate nella stessa struttura.

18. Con una decisione dell’11 giugno 2015, il tribunale incaricò il tutore di collocare le minori insieme, con la loro madre, in una struttura adeguata e gli ordinò di concedere alla madre brevi uscite dalla struttura di accoglienza in funzione degli eventuali progressi fatti da quest’ultima nel modo di prendersi cura delle figlie.

19. Il 26 giugno 2015 M. fu collocata nella stessa casa di accoglienza insieme a sua madre e a sua sorella.

20. Il 27 ottobre 2015 il centro presentò un rapporto in cui si menzionava che la ricorrente si prendeva cura delle figlie, ma aveva ancora grandi difficoltà a stabilire delle relazioni interpersonali con gli operatori della struttura di accoglienza.

21. Il 4 novembre 2015 l’avvocato della ricorrente chiese che l’interessata potesse beneficiare di un percorso di autonomia in una casa presa in affitto o messa a sua disposizione, e di revocare la sospensione della responsabilità genitoriale. Affermò che il padre di M. era titolare di un permesso di soggiorno di protezione internazionale, che lavorava a Malta, che aveva ripreso il rapporto con la ricorrente, e che intendeva riconoscere M. e sostenere le spese dell’interessata e delle due figlie.

22. Il 21 dicembre 2015 il tribunale respinse la domanda della ricorrente; chiese all’ospedale di redigere una relazione sulle attuali condizioni di salute della ricorrente e convocò il tutore, il responsabile della struttura di accoglienza e il responsabile del centro per riesaminare la situazione.

23. Il 29 febbraio 2016 il centro presentò al tribunale e al tutore una relazione in cui si affermava che era difficile avere contatti regolari con la ricorrente, la quale manifestava irritazione per la sua presenza permanente nella struttura di accoglienza. Secondo la relazione, la ricorrente era incapace di rendere concreto il suo progetto di autonomizzazione, e si limitava a nutrire e a giocare con le bambine senza rispettare gli orari della scuola.

24. Il 14 marzo 2016 il procuratore chiese al tribunale di verificare se le minori si trovassero in uno stato di abbandono, condizione necessaria per poter dichiarare la loro adottabilità.

25. Con decisione del 18 marzo 2016, il tribunale ordinò l’avvio del procedimento per stabilire se le minori fossero in stato di abbandono, confermò la sospensione della responsabilità genitoriale della ricorrente e del padre di J., e ordinò il collocamento delle minori in una casa di accoglienza con possibilità, per la madre, di andare a visitarle una volta a settimana.

26. Il 24 marzo 2016 le minori furono collocate nella casa di accoglienza «Casa Famiglia Mirella».

27. Con una decisione del 23 maggio 2016, il tribunale ordinò una perizia sulle condizioni psicofisiche, le eventuali problematiche psichiatriche o psicologiche della ricorrente e il loro impatto sulle sue capacità genitoriali. Accordò alla ricorrente un diritto di visita nella misura di due ore a settimana.

28. La perizia indicava che la ricorrente era affetta da disturbo di personalità misto con prevalenti tratti paranoici, accompagnati da aspetti narcisistici, nonché da una generalizzata povertà delle capacità di logica e di astrazione. Dall’esame diretto delle interazioni tra madre e figlia, nonché dall’analisi dei rapporti medici, risultava che la ricorrente soffriva di disturbi psichici che interferivano in modo significativo nell’espressione delle capacità genitoriali. La ricorrente non separava i propri bisogni da quelli delle minori, mancava di astrazione rispetto alle necessità delle sue figlie e appariva eccessivamente superficiale nella valutazione degli aspetti logistici riguardanti le bambine. In particolare, «i deficit della genitorialità [erano] nelle aree della funzione regolatrice, normativa, significante e rappresentativa».

29. Con sentenza del 9 gennaio 2017, il tribunale, basandosi sulle conclusioni della perizia, dichiarò che le minori erano in stato di abbandono e adottabili. Motivò la sua decisione sottolineando che non era possibile accordare ulteriori aiuti alla ricorrente e che inoltre le figlie non potevano rimanere collocate in una struttura in attesa che la ricorrente recuperasse le sue capacità genitoriali. Al fine di gestire la situazione delle bambine, confermò la nomina del tutore, ordinò il collocamento delle minori in una casa di accoglienza e proibì ogni contatto tra le figlie e la ricorrente.

30. Il 1° marzo 2017 la ricorrente interpose appello avverso la sentenza e presentò una richiesta di provvedimenti d’urgenza, conformemente all’articolo 700 del codice di procedura civile, ai fini della sospensione del divieto dei contatti.

31. Con decisione del 13 marzo 2017, il presidente della corte d’appello di Roma fissò la comparizione delle parti all’udienza prevista per il 20 giugno 2017 e ordinò ai servizi sociali di redigere una relazione sulle condizioni di vita della ricorrente.

32. All’udienza del 7 novembre 2017, la corte d’appello constatò che la ricorrente non era stata trovata nell’abitazione in cui aveva eletto domicilio e che non si era mai messa in contatto con i servizi sociali. Durante l’udienza, l’interessata fu informata che le figlie erano state affidate a due famiglie diverse in vista della loro adozione.

33. Con ordinanza in pari data, la corte d’appello esaminò la richiesta di provvedimenti d’urgenza volta a ottenere la sospensione del divieto dei contatti e sottolineò che, anche se la dichiarazione di adottabilità fosse stata confermata in appello, in caso di ripresa dei contatti le minori avrebbero sofferto di un ulteriore allontanamento dalla madre. Era nell’interesse delle figlie mantenere la sospensione dei contatti durante il procedimento d’appello. Tuttavia, la corte d’appello ordinò una nuova perizia e chiese al perito:

«di descrivere e valutare, con l’aiuto di un mediatore culturale e, se necessario, con un interprete in lingua inglese, l’attuale condizione psicofisica e la personalità della ricorrente, precisando le patologie di cui essa [era] affetta e acquisendo la documentazione medica di quest’ultima presso l’ospedale, nonché le conseguenze che ne sono residuate sul piano fisico e psichico e la loro incidenza sulla sua capacità genitoriale, con specifico riferimento alla sua idoneità alla cura materiale e morale delle figlie.»
L’esperto doveva inoltre precisare se vi fossero delle possibilità concrete che la ricorrente recuperasse le sue capacità genitoriali, tenuto conto della sua storia personale e della sua situazione attuale: quali fossero, in caso affermativo, gli interventi di sostegno necessari a questo fine e se il tempo occorrente per il recupero fosse compatibile con le esigenze evolutive delle figlie. Inoltre, l’esperto doveva verificare le condizioni psicofisiche delle minori, valutare le conseguenze che potevano derivare alle stesse dal ripristino degli incontri con la madre e indicare le modalità con le quali tale ripristino potesse eventualmente attuarsi senza pregiudizio per le bambine.

34. Risultava dalla perizia che, per quanto riguardava le valutazioni delle competenze genitoriali fatte in precedenza, l’atteggiamento diffidente della ricorrente descritto dagli operatori sociali poteva derivare dalle implicazioni psicologiche della condizione di vittima di tratta, piuttosto che dalle caratteristiche della personalità dell’interessata o da disturbi mentali importanti. La relazione precisava che, a causa del trauma migratorio subito dalla ricorrente, «[l’atteggiamento di quest’ultima] suscitava una reazione poco solidale da parte dei servizi sociali, non formati all’accoglienza di persone appartenenti ad altre culture». Secondo l’esperto, «l’origine nigeriana della ricorrente [poteva] aver contribuito ad alimentare una visione stereotipata di una famiglia considerata inaffidabile e [poteva] far credere che le donne di tale origine [fossero] spesso coinvolte nei circuiti della prostituzione». La relazione indicava che la ricorrente presentava dei tratti della personalità, nonché dei disturbi psichici, che si ripercuotevano in modo significativo sulla sua capacità genitoriale, e che la possibilità di recuperare una piena funzione parentale era difficilmente compatibile con le esigenze delle bambine. A questo proposito, la perizia metteva in evidenza la scarsa consapevolezza di sé della ricorrente e la sua scarsa propensione a chiedere aiuto. Per quanto riguarda la sua capacità di educare le figlie da un punto di vista morale, aveva sempre mostrato un forte attaccamento al suo ruolo di madre. La relazione conteneva i seguenti passaggi:

«La ricorrente si è trovata disorientata di fronte alla condizione di madre sola in un paese straniero in cui i sistemi di cure e di istruzione differiscono notevolmente da quelli del suo paese e la cui presa in carico delle figlie sembra essere profondamente influenzata dalla sua cultura di origine. Infatti, lo scambio tra madre e figli nella cultura africana è permeato più da contatti corporei che da scambi verbali e da contatti diretti di sguardo o di attività di gioco condiviso. La ricorrente è stata accusata, come spesso accade per le donne migranti provenienti dall’Africa subsahariana, di non saper giocare con le figlie e di limitarsi all’accudimento primario. Un intervento più attento agli elementi culturali impliciti tanto nella relazione di accudimento verso le figlie quanto nella modalità di approccio con il mondo esterno, avrebbe potuto meglio orientare verso un accompagnamento alla maternità e alla valorizzazione delle sue competenze genitoriali.

La ricorrente, pur avendo delle buone capacità per quanto attiene all’accudimento morale e affettivo delle bambine, presenta caratteristiche di personalità e/o elementi psicopatologici che inducono ad un atteggiamento di prudenza rispetto ad una piena assunzione della responsabilità genitoriale.»

35. L’esperto sottolineava che la ricorrente era stata vittima per anni di violenze sessuali e che soffriva di stress post-traumatico. Inoltre, osservava che:

«È del tutto ragionevole supporre che, se adeguatamente sostenuta in un percorso psicoterapeutico, la ricorrente potrebbe mantenere un ruolo del tutto positivo nella vita delle figlie, seppure inserite in altri contesti. A questo proposito, il legame con la madre può fornire quell’altrettanto indispensabile rispecchiamento culturale che, come sappiamo, assume un importante significato nella costruzione di una propria identità.»

36. Secondo l’esperto, la ripresa dei rapporti tra la ricorrente e le figlie poteva garantire loro un riconoscimento e un rispecchiamento culturale identitario nell’ambito di una relazione caratterizzata da grande affettività. L’esperto raccomandava di ripristinare il rapporto con la ricorrente e al contempo di stabilire il rapporto con la coppia collocataria.

37. Con sentenza del 2 ottobre 2018, la corte d’appello, composta da due magistrati professionisti e da due consiglieri onorari, confermò la sentenza del tribunale. Essa rilevò che la perizia aveva messo in evidenza che la ricorrente era priva di capacità genitoriali e che la possibilità di recuperarle non era compatibile con le esigenze delle minori. Inoltre, la ricorrente non era pienamente consapevole della sua malattia, della malattia delle figlie e delle sue difficoltà psicologiche.

38. La corte d’appello respinse la domanda con cui la ricorrente chiedeva di ordinare «esclusivamente un affidamento extrafamiliare» permettendo alle figlie di rimanere nelle famiglie di accoglienza a cui erano affidate. A questo proposito, la corte d’appello rilevò che tale forma di affidamento doveva essere considerata temporanea, mentre nel caso di specie l’incapacità della ricorrente di esercitare le sue capacità genitoriali era definitiva e l’unica soluzione era quindi dichiarare lo stato di adottabilità delle figlie. Respinse la domanda della ricorrente volta a ottenere la sospensione del divieto di contatti, sebbene le conclusioni della perizia attestassero la necessità di mantenerli, senza motivare la sua decisione su questo punto, limitandosi, tuttavia, ad affermare che la dichiarazione di adottabilità rompeva tutti i legami con la famiglia d’origine. La corte d’appello respinse anche la domanda volta a ottenere un’adozione semplice, rammentando che la legge non prevedeva tale adozione, e che l’adozione prevista dall’articolo 44 d), quando non era possibile procedere ad un affidamento preadottivo (paragrafo 44 infra), non era oggetto del procedimento.

39. La ricorrente propose ricorso per cassazione.

40. Con ordinanza depositata il 13 febbraio 2020, la Corte di cassazione annullò la sentenza della corte d’appello rinviando la causa a un’altra sezione della corte d’appello. La Suprema Corte rammentò che il minore, una volta dichiarato adottabile, veniva posto in affidamento preadottivo. L’interruzione dei rapporti tra il genitore biologico e il minore era la conseguenza dell’adozione e non della dichiarazione di adottabilità. Tuttavia, l’interruzione definitiva dei rapporti tra la famiglia biologica e il minore era una conseguenza diretta dell’affidamento preadottivo e, quindi, i legami giuridici tra i genitori biologici e il minore cessavano con la dichiarazione di adottabilità volta all’adozione piena che era incompatibile con la continuazione di una relazione che doveva essere interrotta una volta pronunciata l’adozione.

41. La Suprema Corte ritenne che l’adozione piena dovesse essere pronunciata in ultima ratio, quando non vi era interesse che il minore mantenesse un rapporto significativo con i suoi genitori biologici o quando tale legame poteva portargli pregiudizio. Essa constatò che la corte d’appello non aveva preso in considerazione la parte della perizia nella quale si sottolineava che il legame con la madre doveva essere preservato per costruire l’identità delle figlie, e rilevò che la corte d’appello non aveva ritenuto necessario valutare se vi fosse un diverso modello di adozione che, nell’interesse delle minori, avrebbe potuto essere applicato al caso di specie.

La Suprema Corte precisò che nel sistema italiano era possibile, in virtù dell’articolo 44 d) della legge sull’adozione (si veda il paragrafo 44 infra), procedere all’adozione in alcuni casi particolari. A tale riguardo, la giurisprudenza prevedeva che, nell’ambito della procedura che permetteva di valutare se il minore dovesse essere considerato in stato di abbandono, la corte d’appello dovesse interrogarsi immediatamente, alla luce della perizia, sulla necessità di mantenere dei legami tra il genitore biologico e il figlio, perché ciò aveva un’incidenza sull’esistenza o meno dello stato di abbandono e quindi sul tipo di adozione da pronunciare. A questo proposito, la Corte di cassazione rammentò che, in precedenti sentenze (paragrafo 49 infra), aveva sottolineato la necessità di effettuare una valutazione ex ante della possibilità di prevedere una procedura di adozione semplice.

Al momento della verifica dello stato di abbandono, la corte d’appello avrebbe dovuto esaminare se l’interesse a non rompere il legame con la ricorrente prevalesse sull’insufficienza delle sue capacità genitoriali. Se la corte d’appello avesse ritenuto indispensabile il mantenimento di un rapporto tra le bambine e la ricorrente, avrebbero potuto essere previste altre forme di adozione. Di conseguenza, la Corte di cassazione stabilì che «uno dei fondamenti dell’accertamento relativo alla dichiarazione di adottabilità [era] la corrispondenza all’interesse delle minori a conservare il legame con la madre». Secondo la Suprema Corte, non era esclusa la possibilità di procedere a una forma di adozione diversa da quella legittimante, che fosse compatibile con la conservazione del rapporto tra la madre e le minori e in conformità con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

42. Dalle ultime informazioni fornite dalle parti risulta che la causa è pendente dinanzi a un’altra sezione della corte d’appello.

I. IL QUADRO GIURIDICO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

A. Il regime giuridico interno

43. Una parte del diritto interno pertinente nel caso di specie è descritta nelle sentenze Zhou c. Italia (n. 33773/11, §§ 24-26, 21 gennaio 2014) e Paradiso e Campanelli c. Italia ([GC], n. 25358/12, §§ 57-69, 24 gennaio 2017).

44. Le disposizioni relative alla procedura di adozione sono contenute nella legge n. 184/1983, intitolata «Diritto del minore ad una famiglia» (di seguito «la legge sull’adozione»), modificata dalla legge n. 149 del 2001.

«Titolo II – Dell’adozione
(…)
«Capo II – Della dichiarazione di adottabilità»

Articolo 8

«Sono dichiarati anche d’ufficio in stato di adottabilità dal tribunale per i minorenni, (…) i minori in situazione di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio.
(…)»

Articolo 10

«(…)

3. Il tribunale può disporre in ogni momento e fino all’affidamento preadottivo ogni opportuno provvedimento provvisorio nell’interesse del minore, ivi compresi il collocamento temporaneo presso una famiglia o una comunità di tipo familiare, la sospensione della responsabilità genitoriale dei genitori sul minore, la sospensione dell’esercizio delle funzioni del tutore e la nomina di un tutore provvisorio.

4. In caso di urgente necessità, i provvedimenti di cui al comma 3 possono essere adottati dal presidente del tribunale per i minorenni o da un giudice da lui delegato.

5. Il tribunale, entro trenta giorni, deve confermare, modificare o revocare i provvedimenti urgenti assunti ai sensi del comma 4. Il tribunale provvede in camera di consiglio con l’intervento del pubblico ministero, sentite tutte le parti interessate ed assunta ogni necessaria informazione. Deve inoltre essere sentito il minore che ha compiuto gli anni dodici e anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento. I provvedimenti adottati debbono essere comunicati al pubblico ministero ed ai genitori. Si applicano le norme di cui agli articoli 330 e seguenti del codice civile.»

Articolo 18

«La sentenza definitiva che dichiara lo stato di adottabilità è trascritta, a cura del cancelliere del tribunale per i minorenni, su apposito registro conservato presso la cancelleria del tribunale stesso. La trascrizione deve essere effettuata entro il decimo giorno successivo a quello della comunicazione che la sentenza di adottabilità è divenuta definitiva. A questo effetto, il cancelliere del giudice dell’impugnazione deve inviare immediatamente apposita comunicazione al cancelliere del tribunale per i minorenni.»

Articolo 19

«Durante lo stato di adottabilità è sospeso l’esercizio della responsabilità genitoriale. Il tribunale per i minorenni nomina un tutore, ove già non esista, e adotta gli ulteriori provvedimenti nell’interesse del minore.»

«Titolo IV – Dell’adozione in casi particolari
Capo I – Dell’adozione in casi particolari e dei suoi effetti»

Articolo 44

«1. I minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell’articolo 7 (minori che non sono ancora stati dichiarati adottabili):

(…)

d) quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo.

(…)»

Articolo 45

«1. Nel procedimento di adozione nei casi previsti dall’articolo 44 si richiede il consenso dell’adottante e dell’adottando che abbia compiuto il quattordicesimo anno di età.

2. Se l’adottando ha compiuto gli anni dodici deve essere personalmente sentito; se ha una età inferiore, deve essere sentito, in considerazione della sua capacità di discernimento.

3. In ogni caso, se l’adottando non ha compiuto gli anni quattordici, l’adozione deve essere disposta dopo che sia stato sentito il suo legale rappresentante.

(…)»

Articolo 46

«Per l’adozione è necessario l’assenso dei genitori e del coniuge dell’adottando. Quando è negato l’assenso previsto dal primo comma, il tribunale, sentiti gli interessati, su istanza dell’adottante, può, ove ritenga il rifiuto ingiustificato o contrario all’interesse dell’adottando, pronunziare ugualmente l’adozione, salvo che l’assenso sia stato rifiutato dai genitori esercenti la (responsabilità genitoriale) o dal coniuge, se convivente, dell’adottando. Parimenti il tribunale può pronunciare l’adozione quando è impossibile ottenere l’assenso per incapacità o irreperibilità delle persone chiamate ad esprimerlo.»

Articolo 48

«1. Se il minore è adottato da due coniugi, o dal coniuge di uno dei genitori, la (responsabilità genitoriale) sull’adottato ed il relativo esercizio spettano ad entrambi.

(…)»

Articolo 50

«Se cessa l’esercizio da parte dell’adottante o degli adottanti della (responsabilità genitoriale), il tribunale per i minorenni su istanza dell’adottato, dei suoi parenti o affini o del pubblico ministero, o anche d’ufficio, può emettere i provvedimenti opportuni circa la cura della persona dell’adottato, la sua rappresentanza e l’amministrazione dei suoi beni, anche se ritiene conveniente che l’esercizio della (responsabilità genitoriale) sia ripreso dai genitori. Si applicano le norme di cui agli articoli 330 e seguenti.»

Articolo 55

«Si applicano al presente capo le disposizioni degli articoli 293, 294, 295, 299, 300 e 304 del codice civile».

45. L’articolo 300 del codice civile prevede che «[l]’adottato conserva tutti i diritti e i doveri verso la sua famiglia di origine, salve le eccezioni stabilite dalla legge».

46. Il tribunale per i minorenni è un tribunale specializzato. Ai sensi dell’articolo 2 del regio decreto n. 1404 del 1934, è composto da due magistrati di professione e da due cittadini scelti dal Consiglio superiore della magistratura per la loro competenza (biologia, psichiatria, antropologia criminale, pedagogia e psicologia). L’articolo 5 prevede anche la presenza di due cittadini, aventi i requisiti previsti dall’articolo 2, all’interno delle sezioni per minorenni delle corti d’appello.

47. L’articolo 61 del codice di procedura civile, applicabile anche nell’ambito della procedura di adottabilità, prevede che «[q]uando è necessario, il giudice può farsi assistere, per il compimento di singoli atti o per tutto il processo, da uno o più consulenti di particolare competenza tecnica».

48. Secondo l’articolo 194 del codice di procedura civile e l’articolo 90 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, la perizia deve essere sottoposta a tutte le parti del processo entro i termini impartiti; tutti i documenti utilizzati per provare le constatazioni degli esperti devono poter essere esaminati dalle parti e dai loro difensori.

B. La giurisprudenza interna pertinente

49. La Corte di cassazione ha emesso in questa materia le sentenze che seguono, di cui vengono riportati gli estratti pertinenti.

Nella sua sentenza n. 12962 del 22 giugno 2016, la Suprema Corte ha affermato che:

«Per quanto riguarda l’adozione in alcuni casi particolari, l’articolo 44, comma 1, lettera d), della legge n. 184 del 1983 (…) mira a permettere l’adozione ogni volta che è necessario salvaguardare la continuità affettiva ed educativa della relazione tra l’adottante e l’adottando, come elemento caratterizzante la realizzazione dell’interesse del minore a mantenere i legami affettivi sviluppatisi con le altre persone che se ne prendono cura, alla sola condizione (condicio legis) che «sia constatata l’impossibilità di procedere a un affidamento preadottivo», che, in coerenza con lo stato di evoluzione del sistema di protezione dei minori e delle relazioni di filiazione biologica e adottiva, deve essere considerato come una impossibilità «di diritto» di procedere all’affidamento preadottivo e non solo quella «di fatto», derivante da una condizione di abbandono in senso tecnico-giuridico o di semi abbandono.»

Nella sentenza n. 12193 dell’8 maggio 2019, la Corte di cassazione ha considerato che:

«(…) L’articolo 44, comma 1, lett. d), della legge n. 184 del 1983 (…) è volto a consentire il ricorso a tale strumento tutte le volte in cui è necessario salvaguardare la continuità della relazione affettiva ed educativa, all’unica condizione della «constatata impossibilità di affidamento preadottivo», da intendersi non già come impossibilità di fatto, derivante da una situazione di abbandono del minore, bensì come impossibilità di diritto di procedere all’affidamento preadottivo (si veda Corte di cassazione, Sez. I, 22/06/2016, n. 12962).»

50. Diversi tribunali per i minorenni hanno applicato l’articolo 44, lett. d), della legge sull’adozione al di là dei casi previsti dalla legge. In particolare, sei tribunali hanno dato un’interpretazione estensiva dell’articolo 44, lett. d). Il tribunale di Lecce ha applicato tale interpretazione nei casi in cui riteneva che non vi fosse un vero stato di abbandono. Il tribunale di Palermo ha dato un’interpretazione estensiva della suddetta legge in una causa in cui ha ritenuto che fosse nell’interesse del bambino mantenere dei rapporti con la famiglia di origine. Il tribunale di Bari ha dato un’interpretazione estensiva di questa disposizione per diversi anni, in particolare dal 2003 al 2008. Successivamente, a partire dal 2009, il suddetto tribunale ha ritenuto che questo tipo di interpretazione estensiva della legge avesse compromesso, in alcuni casi, lo sviluppo dei bambini che si pensava di proteggere. Inoltre, secondo il tribunale, i genitori biologici erano molto spesso contrari ad avere buoni rapporti con la famiglia adottiva.

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNAZIONALI

A. Le Nazioni Unite

51. La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia adottata a New York il 20 novembre 1989 contiene, tra altre, le seguenti disposizioni:

Articolo 3

«1. In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente.»

Articolo 9

  1. «Gli Stati parte vigilano affinché il fanciullo non sia separato dai suoi genitori contro la loro volontà a meno che le autorità competenti non decidano, con riserva di revisione giudiziaria e conformemente alle leggi di procedura applicabili, che questa separazione è necessaria nell’interesse superiore del fanciullo. Una decisione in questo senso può essere necessaria in taluni casi particolari, ad esempio quando i genitori maltrattino o trascurino il fanciullo, oppure se vivano separati e una decisione debba essere presa riguardo al luogo di residenza del fanciullo.
  2. In tutti i casi previsti al paragrafo 1 del presente articolo, tutte le parti interessate devono avere la possibilità di partecipare alle deliberazioni e di far conoscere le loro opinioni.
  3. Gli Stati parte rispettano il diritto del fanciullo separato da entrambi i genitori o da uno di essi di intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambi i genitori, a meno che ciò non sia contrario all’interesse superiore del fanciullo.
  4. Se la separazione è il risultato di provvedimenti adottati da uno Stato parte, come la detenzione, l’imprigionamento, l’esilio, l’espulsione o la morte (compresa la morte, quale che ne sia la causa, sopravvenuta durante la detenzione) di entrambi i genitori o di uno di essi, o del fanciullo, lo Stato parte fornisce dietro richiesta ai genitori, al fanciullo oppure, se del caso, a un altro famigliare, le informazioni essenziali concernenti il luogo dove si trovano il famigliare o i familiari, a meno che la divulgazione di tali informazioni possa mettere a repentaglio il benessere del fanciullo. Gli Stati parte vigilano inoltre affinché la presentazione di tale domanda non comporti di per sé conseguenze pregiudizievoli per la persona o per le persone interessate.»

Articolo 18

  1. «Gli Stati parte faranno del loro meglio per garantire il riconoscimento del principio secondo il quale entrambi i genitori hanno una responsabilità comune per quanto riguarda l’educazione del fanciullo e il provvedere al suo sviluppo. La responsabilità di allevare il fanciullo e di provvedere al suo sviluppo incombe innanzitutto ai genitori oppure, se del caso, ai suoi tutori legali i quali devono essere guidati principalmente dall’interesse superiore del fanciullo.
  2. Al fine di garantire e di promuovere i diritti enunciati nella presente Convenzione, gli Stati parte accordano gli aiuti appropriati ai genitori e ai tutori legali nell’esercizio della responsabilità che incombe loro di allevare il fanciullo e provvedono alla creazione di istituzioni, istituti e servizi incaricati di vigilare sul benessere del fanciullo.
  3. Gli Stati parte adottano ogni appropriato provvedimento per garantire ai fanciulli i cui genitori lavorano il diritto di beneficiare dei servizi e degli istituti di assistenza all’infanzia, per i quali essi abbiano i requisiti necessari.»

Articolo 20

  1. «Ogni fanciullo temporaneamente o definitivamente privato del suo ambiente famigliare o che non può essere lasciato in tale ambiente nel suo proprio interesse, ha diritto a una protezione e ad aiuti speciali dello Stato.
  2. Gli Stati parte prevedono per questo fanciullo una protezione sostitutiva, in conformità con la loro legislazione nazionale.
  3. Tale protezione sostitutiva può in particolare concretizzarsi per mezzo dell’affidamento famigliare, della kafala di diritto islamico, dell’adozione o, in caso di necessità, del collocamento in adeguati istituti per l’infanzia. Nell’effettuare una selezione tra queste soluzioni si terrà debitamente conto della necessità di una certa continuità nell’educazione del fanciullo, nonché della sua origine etnica, religiosa, culturale e linguistica.»

Articolo 21

«Gli Stati parte che ammettono e/o autorizzano l’adozione si accertano che l’interesse superiore del fanciullo sia la considerazione fondamentale in materia e:

a) vigilano affinché l’adozione di un fanciullo sia autorizzata solo dalle autorità competenti le quali verificano, in conformità con la legge e con le procedure applicabili e in base a tutte le informazioni affidabili relative al caso in esame, che l’adozione può essere effettuata in considerazione della situazione del bambino in rapporto al padre e alla madre, genitori e tutori legali e che, ove fosse necessario, le persone interessate hanno dato il loro consenso all’adozione in cognizione di causa, dopo aver acquisito i pareri necessari;

(…)»

52. Nel suo Commento generale n. 7 (2005) sull’attuazione dei diritti del fanciullo nella primissima infanzia, il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia ha inteso incoraggiare gli Stati parte a riconoscere che i bambini in tenera età godono di tutti i diritti sanciti dalla Convenzione sui diritti del fanciullo e che la prima infanzia è un periodo determinante per la realizzazione di tali diritti. Il Comitato si riferisce in particolare all’interesse superiore del minore:

«13. (…) L’articolo 3 della Convenzione sancisce il principio secondo il quale l’interesse superiore del minore è una considerazione fondamentale in tutte le decisioni riguardanti i minori. A causa della loro relativa mancanza di maturità, i bambini in tenera età dipendono dalle autorità competenti che definiscono i loro diritti e il loro interesse superiore, e li rappresentano quando prendono decisioni e adottano provvedimenti che pregiudicano il loro benessere, pur tenendo conto del loro parere e dello sviluppo delle loro capacità. Il principio dell’interesse superiore del minore è menzionato molte volte nella Convenzione (in particolare negli articoli 9, 18, 20 e 21, che sono i più pertinenti per quanto concerne la prima infanzia). Questo principio si applica a tutte le decisioni riguardanti i minori e deve essere accompagnato da misure efficaci volte a tutelarne i diritti e a promuoverne la sopravvivenza, la crescita e il benessere, nonché misure volte a sostenere e aiutare i genitori e le altre persone che hanno la responsabilità di concretizzare giorno dopo giorno i diritti del minore:

a) Interesse superiore del minore in quanto individuo. In qualsiasi decisione che riguarda in particolare la custodia, la salute o l’educazione di un minore, tra cui le decisioni prese dai genitori, dai professionisti che si occupano dei minori e da altre persone che si assumono responsabilità nei confronti di questi ultimi, deve essere preso in considerazione il principio dell’interesse superiore del minore. Gli Stati parti sono vivamente invitati ad adottare disposizioni affinché i minori in tenera età siano rappresentati in maniera indipendente, in tutte le procedure previste dalla legge, da una persona che agisca nel loro interesse e affinché i minori siano sentiti in tutti i casi in cui sono capaci di esprimere le loro opinioni o le loro preferenze;»

53. Nel suo Commento generale n. 14 (2013) sul diritto del minore a che il suo interesse superiore sia considerato preminente (art. 3, paragrafo 1) del 29 maggio 2013, il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia cita, tra gli «[e]lementi di cui occorre tener conto nel valutare l’interesse superiore del minore», i seguenti punti:

«a) L’opinione del minore

(…)

b) L’identità del minore

(…)

c) Conservazione dell’ambiente famigliare e mantenimento delle relazioni

(…)

d) Presa in carico, protezione e sicurezza del minore

(…)

e) Situazioni di vulnerabilità

(…)

f) Diritto del minore alla salute

(…)

g) Diritto del minore all’educazione

(…)»

(…)»

«12. Il presente Commento ha come obiettivo principale quello di rafforzare la comprensione e l’applicazione del diritto del minore a che il suo interesse superiore sia valutato e sia una considerazione preminente o, in alcuni casi, sia la considerazione preminente (si veda il paragrafo 38 infra). Il suo obiettivo generale è promuovere un vero e proprio cambiamento negli atteggiamenti, che favorisca il pieno rispetto del bambino in quanto titolare di diritti. Ciò incide in particolare su:

  1. L’elaborazione di tutte le misure di applicazione che i governi adottano;
  2. Le decisioni su dei casi individuali emesse dalle autorità giudiziarie o amministrative o da enti pubblici tramite i loro agenti, che riguardano uno o più bambini determinati;
  3. Le decisioni adottate da enti della società civile e dal settore privato, in particolare delle organizzazioni commerciali e le organizzazioni senza scopo di lucro che forniscono dei servizi che riguardano i minori o che hanno una incidenza su di essi;
  4. Gli orientamenti relativi alle azioni svolte dalle persone che lavorano con e per i bambini, in particolare i genitori e coloro che forniscono assistenza.»

(…)

«38. In materia di adozione (art. 21), il principio dell’interesse superiore del minore è ulteriormente rafforzato; non deve essere semplicemente «una considerazione preminente», ma «la considerazione preminente». L’interesse superiore del minore deve, di fatto, essere il fattore determinante nelle decisioni relative all’adozione, ma anche in altri ambiti».

Sotto i titoli «Bilanciamento degli elementi considerati nella valutazione dell’interesse superiore» e «Salvaguardie procedurali per garantire l’attuazione dell’interesse superiore del minore», si possono leggere, in particolare, i passaggi seguenti:

«84. Nel valutare l’interesse superiore occorre tener conto della natura evolutiva delle capacità del minore. I responsabili delle decisioni devono pertanto prevedere misure che possano essere riviste o adattate di conseguenza piuttosto che prendere decisioni definitive e irreversibili. Per fare questo, non solo dovrebbero valutare i bisogni fisici, affettivi, educativi e di altro tipo del minore al momento in cui viene presa la decisione, ma anche considerare i possibili scenari di sviluppo del minore e analizzarli a breve e a lungo termine. In questa prospettiva, i responsabili delle decisioni dovrebbero valutare la continuità e la stabilità della situazione attuale e futura del minore.

(…)

85. La corretta attuazione del diritto del minore a che il suo interesse superiore sia una considerazione preminente richiede l’istituzione e il rispetto di garanzie procedurali adeguate ai minori. Il concetto di interesse superiore del minore in quanto tale costituisce una regola di procedura (…).

(…)

87. Gli Stati sono tenuti a mettere in atto processi formali, con rigorose garanzie procedurali, volti a valutare e determinare l’interesse superiore del minore nel momento in cui vengono prese decisioni che lo riguardano, ivi compresi i meccanismi di valutazione dei risultati. Gli Stati sono tenuti a mettere a punto processi trasparenti e obiettivi per tutte le decisioni prese da legislatori, giudici o autorità amministrative, in particolare nei settori che riguardano direttamente i minori.»

B. Il Consiglio d’Europa

54. La Convenzione europea sull’adozione dei minori (riveduta) del 27 novembre 2008, entrata in vigore l’11 settembre 2011, ratificata da dieci Stati, ma non firmata dall’Italia, contiene in particolare i seguenti passaggi:

Articolo 3 – Validità dell’adozione

«L’adozione è valida solo se pronunciata da un tribunale o da un’autorità amministrativa (di seguito «l’autorità competente»).»

Articolo 4 – Concessione dell’adozione

  1. «L’autorità competente concede l’adozione soltanto se ha acquisito la convinzione che la stessa è conforme all’interesse superiore del minore.
  2. In ogni caso, l’autorità competente presta una particolare attenzione a che l’adozione fornisca al minore un ambiente famigliare stabile e armonioso.»

Articolo 5 – Consensi all’adozione

  1. «Con riserva dei paragrafi 2-5 del presente articolo, l’adozione viene concessa soltanto se almeno i consensi seguenti sono stati ottenuti e non sono stati revocati:
    1. il consenso della madre e del padre; o, se non vi sono né la madre né il padre che possano acconsentire, il consenso della persona o dell’organismo abilitato ad acconsentire al posto dei genitori;
    2. il consenso del minore considerato dalla legislazione come avente sufficiente discernimento; si considera che un minore abbia un discernimento sufficiente quando ha raggiunto l’età prevista dalla legge, che non deve superare i 14 anni;
    3. il consenso del coniuge, o del partner registrato, dell’adottante.
  2. Le persone di cui viene richiesto il consenso per l’adozione devono essere assistite dai consulenti necessari e debitamente informate sulle conseguenze del loro consenso, in particolare sul mantenimento o la rottura, a causa di un’adozione, dei legami di diritto tra il minore e la sua famiglia di origine. Tale consenso deve essere dato liberamente nella forma richiesta dalla legge, e deve essere dato o constatato per iscritto.
  3. L’autorità competente non può esimersi dall’ottenere il consenso né ignorare il rifiuto di accordarlo da parte di una delle persone o uno degli organismi di cui al paragrafo 1, se non per motivi eccezionali stabiliti dalla legge. Tuttavia, è permesso esimersi dal consenso di un minore affetto da un handicap che gli impedisca di esprimere un consenso valido.
  4. Se il padre o la madre non detengono la responsabilità genitoriale sul minore, o in ogni caso il diritto di acconsentire all’adozione, la legge può prevedere che il loro consenso non sia richiesto.
  5. Il consenso della madre all’adozione del figlio è valido soltanto se viene dato dopo la nascita, allo scadere del termine prescritto dalla legge, che non deve essere inferiore a sei settimane o, se non è specificato alcun termine, nel momento in cui, secondo l’autorità competente, la madre avrà potuto riprendersi a sufficienza dalle conseguenze del parto.
  6. Nella presente Convenzione, con i termini «padre» e «madre» si intendono le persone che, ai sensi della legge, sono i genitori del minore.»

Articolo 11 – Effetti dell’adozione

  1. «Al momento dell’adozione, il minore diventa membro a pieno titolo della famiglia dell’adottante o degli adottanti ed ha, nei confronti dell’adottante o degli adottanti e nei confronti della sua o della loro famiglia, gli stessi diritti e gli stessi obblighi di un figlio dell’adottante o degli adottanti la cui filiazione è legalmente stabilita. L’adottante o gli adottanti assumono la responsabilità genitoriale nei confronti del minore. L’adozione pone fine al legame giuridico esistente tra il bambino e suo padre, sua madre e la sua famiglia di origine.
  2. Tuttavia, il coniuge, il convivente registrato o il convivente dell’adottante conserva i suoi diritti e obblighi nei confronti del minore adottato se quest’ultimo è suo figlio, a meno che la legislazione non vi deroghi.
  3. Per quanto riguarda la rottura del legame giuridico esistente tra il minore e la sua famiglia d’origine, gli Stati parte possono prevedere eccezioni per questioni quali il cognome del minore, gli impedimenti al matrimonio o alla conclusione di un’unione registrata.
  4. Gli Stati parte possono prevedere disposizioni relative ad altre forme di adozione aventi effetti più limitati di quelli menzionati nei paragrafi precedenti del presente articolo.»

55. Il 22 aprile 2015 l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha adottato la Risoluzione 2049. Questa risoluzione contiene in particolare i seguenti passaggi:

  1. «La povertà economica e materiale non dovrebbe mai essere l’unico motivo per togliere la custodia di un bambino ai genitori: dovrebbe piuttosto essere interpretata come il segnale che bisognerebbe dare un’assistenza appropriata alla famiglia. Inoltre, non basta dimostrare che un bambino potrebbe essere collocato in un ambiente più benefico alla sua educazione per poterlo togliere ai suoi genitori, e ancora meno per poter rompere completamente i legami familiari.

(…)

8. Di conseguenza, l’Assemblea raccomanda agli Stati membri:

(…)

8.2. di istituire delle leggi, dei regolamenti e delle procedure che diano veramente la priorità all’interesse superiore del bambino in merito a ogni decisione di collocamento, di allontanamento e di ritorno;

8.3. di proseguire e rafforzare le iniziative prese per vigilare affinché tutte le procedure pertinenti siano condotte in maniera attenta ai bisogni del minore e il punto di vista dei minori interessati sia preso in considerazione in funzione della loro età e del loro grado di maturità;

8.4. di rendere visibile l’influenza dei pregiudizi e della discriminazione nelle decisioni di allontanamento, al fine di eliminarli, in particolare attraverso una formazione appropriata di tutti i professionisti interessati;

8.5. di dare un aiuto alle famiglie con i mezzi necessari (compresi quelli economici, materiali, sociali e psicologici) per, anzitutto, evitare decisioni ingiustificate di ritiro della custodia dei loro bambini e aumentare la percentuale di ritorni riusciti nelle famiglie dopo un affidamento;

8.6. di vigilare affinché ogni affidamento (temporaneo) di un minore, quando diventa necessario in ultima istanza, benefici di misure volte a reintegrare successivamente il bambino nella sua famiglia, in particolare agevolando i contatti adeguati tra il bambino e la sua famiglia, e sia oggetto di un controllo periodico;

8.7. di evitare, salvo circostanze eccezionali previste dalla legge e sottoposte a un controllo giurisdizionale (approfondito e in tempo utile) effettivo, di rompere completamente i legami famigliari, di togliere dei bambini ai loro genitori sin dalla nascita, di giustificare una decisione di affidamento facendo valere il tempo trascorso e di fare ricorso all’adozione senza il consenso dei genitori;

8.8. di vigilare affinché il personale che interviene nelle decisioni di allontanamento e di affidamento sia guidato da criteri e da norme appropriati (se possibile in modo interdisciplinare), possegga le qualifiche richieste e sia regolarmente formato, disponga di risorse sufficienti per prendere le proprie decisioni in tempo utile e non sia sovraccaricato da un numero di pratiche troppo importante da trattare;

(…)

8.10. di vigilare affinché, ad eccezione delle cause urgenti, le decisioni iniziali di ritiro siano esclusivamente fondate su decisioni dei tribunali per evitare decisioni ingiustificate e prevenire valutazioni di parte.»

56. Il 28 giugno 2018, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha adottato la Risoluzione 2232 («Assicurare un equilibrio tra l’interesse superiore del minore e l’esigenza di garantire l’unità delle famiglie»). Tale risoluzione contiene, in particolare, i passaggi seguenti:

«4. L’Assemblea riafferma che l’interesse superiore del minore dovrebbe essere preso in considerazione in maniera preminente per tutte le azioni che riguardano i minori, conformemente alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia. Tuttavia, l’applicazione di questo principio generale dipende in pratica dal contesto e dalle circostanze specifiche. È a volte più facile affermare ciò che non è nell’interesse superiore del minore, come essere maltrattato dai genitori o essere allontanato dalla famiglia senza un motivo valido.

5. Tenuto conto di questo avvertimento, l’Assemblea ribadisce le raccomandazioni formulate nella sua Risoluzione 2049 (2015) e invita gli Stati membri del Consiglio d’Europa a concentrarsi sul processo allo scopo di ottenere i migliori risultati per i minori e per le loro famiglie. Gli Stati membri dovrebbero:

(…)

5.2. fornire il sostegno necessario alle famiglie in tempo utile e in uno spirito positivo allo scopo di evitare di dover adottare decisioni di allontanamento in primo luogo, e di agevolare la riunificazione della famiglia quando ciò è possibile e conforme all’interesse superiore del minore; tuttavia, si deve istituire una migliore collaborazione con i genitori, al fine di evitare eventuali errori basati su malintesi, stereotipi o discriminazioni, errori che sarà difficile correggere in seguito, una volta persa la fiducia;

(…)

5.5. sforzarsi di limitare al minimo le pratiche di allontanamento del bambino alla nascita, di giustificazione di una decisione in base al tempo trascorso e di adozione senza il consenso dei genitori, e farvi ricorso solo in casi estremi. Ogni volta che ciò obbedisce all’interesse superiore del minore, dovrebbe essere fatto il possibile per mantenere i legami familiari;

5.6. quando è stata presa la decisione di allontanare un minore dalla sua famiglia, garantire:

5.6.1. che tali decisioni siano una risposta proporzionata a una valutazione attendibile e verificabile da parte delle autorità competenti che dimostri che vi è un rischio di pregiudizio reale e serio per il minore, e che possa essere oggetto di una revisione giudiziaria;

5.6.2. che una decisione dettagliata sia trasmessa ai genitori e che sia conservata anche copia della stessa. È importante che la decisione sia spiegata al minore in una forma adeguata alla sua età o, in mancanza di ciò, che egli abbia accesso a tale decisione. È opportuno che la decisione riporti le circostanze che hanno portato a tale scelta, e indichi i motivi dell’allontanamento;

5.6.3. che la decisione di allontanare i minori sia presa solo in casi estremi e si applichi solo per il tempo necessario;

5.6.4. che i fratelli e le sorelle siano collocati insieme in tutti i casi nei quali un tale affidamento non è contrario al loro interesse superiore;

5.6.5. che i minori, nella misura in cui ciò obbedisce al loro interesse superiore, siano collocati all’interno del nucleo famigliare allargato per minimizzare la rottura dei loro legami familiari;

5.6.6. che il fatto di riunire la famiglia e/o di avere accesso alla famiglia sia preso in considerazione a intervalli regolari, a seconda dei casi, tenendo presente l’interesse superiore del minore e il suo punto di vista;

5.6.7. che le visite e i contatti siano pianificati in modo tale da mantenere il legame famigliare e in vista della riunificazione, salvo che ciò non sia manifestamente inappropriato;»

57. La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani è entrata in vigore il 1° febbraio 2008, è stata ratificata dall’Italia il 29 novembre 2010 ed è entrata in vigore il 1° marzo 2011.

Articolo 12 – Assistenza alle vittime

  1. «Ciascuna delle Parti adotta le misure legislative o le altre misure necessarie per dare assistenza alle vittime per il loro recupero fisico, psicologico e sociale. Tale assistenza includerà almeno:
    1. condizioni di vita capaci di assicurare loro la sussistenza, attraverso misure quali: un alloggio adeguato e sicuro, l’assistenza psicologica e materiale;
    2. accesso alle cure mediche d’urgenza;
    3. un aiuto in materia di traduzione ed interpretariato, se necessario;
    4. consigli ed informazioni, concernenti in particolare i diritti che la legge riconosce loro ed i servizi messi a loro disposizione, in una lingua che possano comprendere;
    5. assistenza per fare in modo che i diritti e gli interessi delle vittime siano rappresentati e presi in considerazione durante le fasi della procedura penale avviata contro gli autori del reato;
    6. accesso all’istruzione per i minori.
  2. Ciascuna delle Parti tiene nel dovuto conto le esigenze di sicurezza e di protezione delle vittime.
  3. Inoltre, ciascuna delle Parti fornisce l’assistenza medica necessaria, o qualsiasi altro genere di assistenza alle vittime che risiedono legalmente nel territorio, che non hanno risorse adeguate e ne hanno bisogno.
  4. Ciascuna delle Parti adotta norme che autorizzino le vittime, residenti nel territorio in modo legale, ad avere accesso al mercato del lavoro, alla formazione professionale ed all’istruzione.
  5. Ciascuna delle Parti prende misure, ove necessario ed alle condizioni previste dalle proprie leggi nazionali, al fine di cooperare con le organizzazioni non-governative, le altre organizzazioni competenti o gli altri soggetti della società civile, impegnati nell’assistenza delle vittime.
  6. Ciascuna delle Parti adotta le misure legislative o altre misure necessarie per assicurarsi che l’assistenza a una vittima non sia subordinata alla sua volontà di testimoniare.
  7. Per l’attuazione delle disposizioni previste nel presente articolo, ciascuna delle Parti si assicura che i servizi siano forniti in modo consensuale ed informato, tenendo in debito conto le speciali esigenze delle persone che si trovano in una condizione di vulnerabilità ed i diritti dei minori in termini di alloggio, istruzione e cure adeguate.»

58. Le parti pertinenti del parere n. 15/2012 del 6 novembre 2012 del Consiglio consultivo dei giudici europei («CCGE») sulla specializzazione dei giudici recitano:

«B. Principi generali – rispetto dei diritti e principi fondamentali: posizione del CCGE

(…)

33. Occorre sempre vigilare affinché siano rispettati i principi del processo equo, vale a dire l’imparzialità del tribunale nella sua interezza e la libertà del giudice di valutare gli elementi di prova. È altresì fondamentale che, quando il sistema prevede che un giudice professionista sia affiancato in tribunale da un assessore o da un esperto, le parti conservino la possibilità di contraddire il parere espresso al giudice professionista dall’assessore o dall’esperto. In caso contrario, tale parere potrebbe far parte della sentenza senza che le parti abbiano avuto la possibilità di contestarlo. Il CCGE ritiene che si debba dare la preferenza a un sistema in cui il giudice nomina un esperto o in cui le parti stesse possono chiedere di [far] testimoniare degli esperti le cui constatazioni e conclusioni possono essere contestate e discusse tra le parti dinanzi al giudice.»

IN DIRITTO

I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE

59. La ricorrente lamenta l’interruzione automatica del suo diritto di visita a seguito della sentenza del tribunale che dichiarava le figlie in stato di abbandono e, dunque, adottabili, sebbene la procedura sia ancora pendente da più di tre anni. La stessa lamenta anche che le minori siano state separate per essere adottate da famiglie diverse. La ricorrente invoca l’articolo 8 della Convenzione, così formulato:

«1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.

2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»

A. Sulla ricevibilità

60. Il Governo eccepisce il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, in quanto la procedura di adottabilità era ancora pendente nel momento in cui è stato presentato il ricorso. Inoltre, il Governo argomenta che la ricorrente non ha presentato un ricorso per ottenere la sospensione del divieto di contatti dinanzi ad un’altra sezione della corte d’appello. A suo parere, si tratterebbe di un rimedio efficace.

61. La ricorrente si oppone all’eccezione di mancato esaurimento, e fa notare che, nonostante la sua richiesta di provvedimenti d’urgenza dinanzi alla corte d’appello affinché quest’ultima adottasse una misura cautelare e urgente, la giurisdizione di appello si è pronunciata otto mesi dopo. Per quanto riguarda il ricorso che avrebbe potuto presentare, secondo il Governo, tale ricorso dipenderebbe dalla stessa corte d’appello che aveva deciso di sospendere i contatti. A questo riguardo, la ricorrente afferma che vi sarebbe una tendenza delle corti d’appello a respingere le domande volte a sospendere l’efficacia esecutiva delle decisioni del tribunale e a ritardare la decisione fino al momento della pronuncia della sentenza.

62. La Corte rammenta che, in linea di principio, il ricorrente ha l’obbligo di tentare correttamente vari ricorsi interni prima di adirla, e che, anche se il rispetto di tale obbligo si valuta alla data della presentazione del ricorso (Baumann c. Francia, n. 33592/96, § 47, CEDU 2001 V), la Corte tollera che l’ultima tappa di questi ricorsi sia raggiunta poco dopo il deposito del ricorso, ma prima che essa sia chiamata a pronunciarsi sulla ricevibilità di quest’ultimo (Ringeisen c. Austria, 16 luglio 1971, § 91, serie A n. 13, E.K. c. Turchia (dec.), n. 28496/95, 28 novembre 2000, Karoussiotis c. Portogallo, n. 23205/08, §§ 57 e 87-92, CEDU 2011, Rafaa c. Francia, n. 25393/10, § 33, 30 maggio 2013, Stanka Mirković e altri c. Montenegro, nn. 33781/15 e altri 3, § 48, 7 marzo 2017, e Mehmet Hasan Altan c. Turchia, n. 13237/17, §§107-109, 20 marzo 2018).

63. La Corte osserva che la ricorrente ha presentato il ricorso dinanzi ad essa mentre il procedimento relativo all’adottabilità delle sue figlie era pendente dinanzi alla corte d’appello, e dopo che il tribunale ha dichiarato lo stato di adottabilità delle sue figlie e disposto il divieto di qualsiasi contatto con le stesse. La Corte osserva, a questo riguardo, che la ricorrente aveva presentato una richiesta di provvedimenti d’urgenza dinanzi alla corte d’appello il 1° marzo 2017 affinché la giurisdizione di appello si pronunciasse sulla sospensione dei contatti ordinata dal tribunale, e che erano già passati sette mesi senza che la corte d’appello si fosse pronunciata. La Corte osserva che non viene contestato che il 7 novembre 2017, ossia prima che la Corte avesse deciso sulla ricevibilità della causa, la corte d’appello ha respinto la domanda urgente volta a ottenere la sospensione del divieto dei contatti, e ciò è stato confermato nella sentenza sul merito depositata, un anno dopo, nell’ottobre 2018.

64. Inoltre, la Corte osserva che, contrariamente a quanto afferma il Governo, la ricorrente ha giustamente chiesto alla corte d’appello di riesaminare la decisione del tribunale relativa alla sospensione dei contatti presentando un ricorso per ottenere un provvedimento d’urgenza. La corte d’appello poteva qualificare tale domanda di provvedimenti d’urgenza come un ricorso volto a ottenere o rivedere le misure temporanee e urgenti, ai sensi dell’articolo 10 della legge n. 184 del 1983 (di seguito «la legge sull’adozione»), dato che il ricorso presentato dalla ricorrente conteneva tutti gli elementi previsti dall’articolo 10 di detta legge. La Corte osserva, in particolare, che la corte d’appello l’ha effettivamente esaminato in quanto tale.

65. La Corte non può obiettare alla ricorrente di averle inviato le sue doglianze relative alla violazione dell’articolo 8 della Convenzione senza aver aspettato che la corte d’appello si pronunciasse sulla domanda di provvedimenti cautelari e urgenti volta a ottenere la sospensione del divieto di contatti quando erano già trascorsi parecchi mesi senza che la suddetta corte si fosse pronunciata, anche se avrebbe dovuto farlo entro breve termine. A tale riguardo, la Corte ritiene importante rammentare che si trattava di un ricorso per provvedimenti d’urgenza in materia di diritto di visita, e che l’urgenza della causa richiedeva che fosse presa una decisione più rapida da parte delle autorità, in quanto il passare del tempo può avere conseguenze irrimediabili sui rapporti tra il minore e il genitore che non vive con lui (S.H. c. Italia, n. 52557/14, § 42, 13 ottobre 2015, e Strand Lobben e altri c. Norvegia [GC], n. 37283/13, § 208, 10 settembre 2019).

66. In queste condizioni, la Corte ritiene che l’eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interno sollevata dal Governo non possa essere accolta.

67. Constatando che il ricorso non è manifestamente infondato né irricevibile per uno degli altri motivi indicati nell’articolo 35 della Convenzione, la Corte lo dichiara ricevibile.

B. Sul merito

1. Argomenti delle parti

a) La ricorrente

68. La ricorrente rammenta che, secondo le disposizioni legislative, una volta che il tribunale dichiara lo stato di adottabilità del minore, il genitore, di cui nel frattempo è stata sospesa la responsabilità genitoriale, è dichiarato decaduto dalla stessa, ma non perde automaticamente il suo diritto di visita, in quanto questa ipotesi si verifica esclusivamente per effetto dell’adozione piena.

69. Tuttavia, la ricorrente osserva che, nella prassi, anche se la legislazione non lo vieta, l’interruzione dei contatti è sempre disposta dei tribunali una volta che è stata pronunciata la dichiarazione dello stato di adottabilità, senza alcuna valutazione specifica della situazione e senza motivazione. Inoltre, nella prassi, una volta che il minore è stato affidato a una famiglia ai fini dell’adozione, lo stato di adottabilità non può più essere revocato.

70. La ricorrente osserva che il tribunale di primo grado che ha disposto l’interruzione dei contatti una volta pronunciata la dichiarazione dello stato di adottabilità, anticipa gli effetti dell’eventuale sentenza definitiva. Nel caso di specie, sono trascorsi tre anni e non è stata pronunciata alcuna sentenza definitiva.

71. La ricorrente rammenta che la decisione di primo grado è immediatamente esecutiva, e che ci si trova in una situazione in cui il minore che non è stato ancora definitivamente dichiarato adottabile e non è stato ancora adottato viene trattato come tale, e qualsiasi contatto con la famiglia naturale viene interrotto. Questa interruzione automatica equivale a una ingerenza illegittima nella vita privata e familiare della ricorrente.

72. Inoltre, la ricorrente ritiene importante rammentare che, durante il procedimento dinanzi al tribunale, il giudice non aveva interrotto i contatti come avrebbe potuto fare ai sensi dell’articolo 10, comma 3, della legge sull’adozione. L’interruzione automatica dei contatti come conseguenza della dichiarazione dello stato di adottabilità emessa dal tribunale per i minorenni è una misura non necessaria. La misura non è stata motivata e le minori, per di più, sono state separate e collocate in due famiglie diverse.

73. La ricorrente rammenta che, nonostante la sua richiesta di provvedimenti d’urgenza, la corte d’appello si è pronunciata sette mesi dopo sulla sospensione dei contatti, e osserva infine che la Corte di cassazione, annullando la sentenza della corte d’appello, ha affermato che quest’ultima avrebbe dovuto valutare se l’interesse a non interrompere il legame tra le minori e la ricorrente dovesse o meno prevalere sulla constatazione che la ricorrente era priva di capacità genitoriali.

74. La ricorrente lamenta anche il fatto che le minori sono state collocate in due famiglie diverse e, pertanto, separate senza alcun motivo.

b) Il Governo

75. Il Governo non contesta che la misura controversa rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 8 della Convenzione e costituisca un’ingerenza dello Stato nel diritto della ricorrente al rispetto della vita familiare, ma osserva anche che l’ingerenza aveva una base legale, e che la misura perseguiva uno scopo legittimo (proteggere le minori).

76. Il Governo rammenta che lo Stato si è impegnato in maniera adeguata e sufficiente per far rispettare il diritto della ricorrente di vivere con le sue figlie: tra giugno 2014 e dicembre 2016 sono stati messi a punto diversi progetti di sostegno alla madre, per aiutarla nel suo rapporto con le figlie e per accompagnarla in un percorso di costruzione e di rafforzamento della sua capacità genitoriale; le autorità hanno adottato delle misure concrete per permettere alle bambine di vivere con la ricorrente, l’hanno aiutata, guidata, consigliata, e le hanno assicurato una maggiore protezione.

77. Gli sforzi compiuti per due anni e mezzo non hanno dato il risultato sperato; tuttavia, il 9 gennaio 2017, il tribunale per i minorenni di Roma ha accertato lo stato di abbandono delle minori, le ha dichiarate adottabili e ha disposto l’interruzione dei contatti con la ricorrente.

78. Per quanto riguarda il tempo impiegato dalla corte d’appello per pronunciarsi sulla domanda volta a ottenere la sospensione del divieto di contatti presentata dalla ricorrente, il Governo sottolinea che la corte d’appello ha dovuto ordinare la rinnovazione della notifica al padre di una delle minori e, una volta accertato il contraddittorio, ha disposto una perizia sulla capacità genitoriale e sulla condizione psicologica della madre e su quella delle minori, e ha chiesto all’esperto di valutare se la ripresa delle visite della ricorrente sarebbe stata o meno pregiudizievole per le minori e, eventualmente, di spiegare come organizzarla. La corte d’appello non ha sospeso l’efficacia esecutiva della sentenza e ha emesso la sua decisione una volta conclusa la perizia.

79. Questa decisione della corte d’appello sarebbe stata necessaria in quanto, se le visite fossero ricominciate e, successivamente, l’appello fosse stato respinto, le minori sarebbero state esposte a una duplice separazione e al rischio di subire dei traumi.

80. Il Governo, inoltre, rammenta che l’affidamento delle minori è una misura provvisoria, adottata nel loro interesse superiore per proteggerle durante lo svolgimento della procedura relativa alla verifica dello stato di abbandono. Non si tratta di un affidamento preadottivo, che può essere disposto solo dopo che sia stata adottata la decisione definitiva sullo stato di abbandono, ossia dopo che la sentenza che dichiara lo stato di abbandono sia divenuta definitiva. Fino a quel momento, la misura provvisoria può essere revocata e modificata, se l’interesse delle minori lo richiede. Anche lo stato di adottabilità e l’affidamento preadottivo possono essere revocati nell’interesse del minore. L’«affidamento a rischio giuridico» è una misura provvisoria modificabile in qualsiasi momento – a seconda della conclusione della procedura sullo stato di abbandono – e che non conferisce alle famiglie affidatarie alcun diritto rispetto all’affidamento del minore. Il «rischio» è dunque per la famiglia affidataria, in quanto la speranza di una relazione a lungo termine e familiare con il minore può concludersi con il ritorno di quest’ultimo presso la sua famiglia biologica.

81. Per quanto riguarda la doglianza fondata sull’articolo 8 relativa alla separazione delle minori, poiché la ricorrente non agisce in nome di queste ultime, il Governo considera che la Corte non possa procedere all’esame della valutazione dell’interesse delle minori e stabilire se fosse preferibile un affidamento di entrambe all’interno di una stessa famiglia o un affidamento separato.

82. Sulla questione dell’interesse superiore del minore, il Governo sottolinea che, nei testi internazionali pertinenti, il minore è considerato come trascurato quando i genitori non mantengono con lui le relazioni necessarie alla sua educazione o al suo sviluppo, o non gli forniscono un’assistenza psicologica e materiale. A questo riguardo, il Governo cita i problemi che presenta l’affidamento a lungo termine: a suo parere, il minore affidato vive nell’incertezza tra i suoi genitori biologici e i suoi genitori affidatari, il che comporta problemi quali dei conflitti di lealtà. A tal fine, fa riferimento alle sentenze Paradiso e Campanelli c. Italia ([GC], n. 25358/12, 24 gennaio 2017) e Barnea e Caldararu c. Italia (n. 37931/15, 22 giugno 2017). Il Governo argomenta che, secondo scienziati ed esperti, non si può fissare la regola secondo la quale i legami con la famiglia d’origine devono essere mantenuti, e che ciò dovrebbe avvenire solo se il minore, nel caso in esame, ne trae beneficio. A suo parere, solo le autorità nazionali sono in grado di procedere alla valutazione necessaria di tale questione caso per caso.

2. Valutazione della Corte

a) Ingerenza, legalità e scopo legittimo

83. La Corte rammenta che, per un genitore e suo figlio, stare insieme costituisce un elemento fondamentale della vita familiare, e che delle misure interne che lo impediscano costituiscono un’ingerenza nel diritto protetto dall’articolo 8 della Convenzione (si vedano, tra altre, K. e T. c. Finlandia [GC], n. 25702/94, § 151, CEDU 2001 VII, e Barnea e Caldararu c. Italia, n. 37931/15, § 63 20 giugno 2017). Tale ingerenza viola il suddetto articolo a meno che non sia «prevista dalla legge», non persegua uno o più scopi legittimi in riferimento al paragrafo 2 dell’articolo 8 , e non sia «necessaria in una società democratica».

84. La Corte ritiene accertato in maniera inequivocabile, e le parti non lo contestano, che le decisioni controverse pronunciate nel corso del procedimento dinanzi alle giurisdizioni costituiscono un’ingerenza nell’esercizio, da parte della ricorrente, del suo diritto al rispetto della vita familiare, sancito dal primo paragrafo dell’articolo 8 della Convenzione.

85. Del resto, non è contestato nemmeno il fatto che tali decisioni fossero previste dalla legge, ossia la legge sull’adozione, come modificata dalla legge n. 149 del 2001 (paragrafo 44 supra), e che perseguissero degli scopi legittimi, come la «protezione della salute o della morale» e «dei diritti e delle libertà» di due minori. La Corte non vede alcun motivo per pronunciarsi diversamente. Tale ingerenza, pertanto, soddisfaceva due delle tre condizioni che permettono, in riferimento al secondo paragrafo dell’articolo 8, di considerarla giustificata. Nel caso di specie, la controversia verte sulla terza condizione, ossia sulla questione se l’ingerenza fosse «necessaria in una società democratica».

b) Proporzionalità

i. Principi generali

86. I principi generali applicabili sono ben consolidati nella giurisprudenza della Corte, e sono stati esposti dettagliatamente nella sentenza Strand Lobben e altri c. Norvegia ([GC], n. 37283/13, §§ 202-213, 10 settembre 2019) alla quale si fa riferimento nel caso in esame. Ai fini della presente analisi, la Corte rammenta che, in caso di separazione, l’unità familiare e il ricongiungimento della famiglia costituiscono delle considerazioni inerenti al diritto al rispetto della vita privata e familiare sancito dall’articolo 8 della Convenzione. Di conseguenza, qualsiasi autorità pubblica che ordini una presa in carico avente l’effetto di limitare la vita della famiglia ha l’obbligo positivo di adottare delle misure volte ad agevolare il ricongiungimento della famiglia non appena ciò sia realmente possibile. Inoltre, qualsiasi atto di esecuzione della decisione di presa in carico temporanea deve essere coerente con uno scopo ultimo: unire nuovamente il genitore consanguineo e il figlio. Le autorità competenti hanno l’obbligo positivo di adottare delle misure allo scopo di agevolare la riunione della famiglia non appena ciò sia realmente possibile, fin dall’inizio del periodo di presa in carico e con forza sempre maggiore, ma tale obbligo deve essere sempre bilanciato con il dovere di considerare l’interesse superiore del minore. Per di più, i legami tra i familiari e le chance di ricongiungimento con esito positivo saranno per forza di cose indeboliti se si pongono degli ostacoli che impediscono incontri facili e regolari tra gli interessati (Strand Lobben e altri, sopra citata, §§ 205 e 208).

87. Inoltre, la Corte rammenta che, nelle cause in cui gli interessi del minore e quelli dei suoi genitori siano in conflitto, l’articolo 8 esige che le autorità nazionali garantiscano un giusto equilibrio tra tutti questi interessi e che, nel farlo, attribuiscano una particolare importanza all’interesse superiore del minore che, a seconda della sua natura e complessità, può avere la precedenza su quello dei genitori. Per di più, solo delle «circostanze del tutto eccezionali» possono portare a una rottura del legame familiare (ibidem, §§ 206-207).

88. La Corte rammenta anche che il margine di apprezzamento lasciato alle autorità nazionali competenti varierà a seconda della natura delle questioni dibattute e della gravità degli interessi in gioco come, da una parte, l’importanza di proteggere un minore in una situazione ritenuta molto pericolosa per la sua salute o il suo sviluppo e, dall’altra, l’obiettivo di riunire la famiglia appena le circostanze lo permetteranno. Pertanto, la Corte riconosce che le autorità nazionali godono di un ampio margine di manovra per valutare la necessità di prendere in carico un minore (ibidem, § 211).

89. Secondo la Corte, si deve invece esercitare un «controllo più rigoroso» sia sulle restrizioni supplementari, come quelle applicate dalle autorità al diritto di visita dei genitori, sia sulle garanzie destinate ad assicurare la protezione effettiva del diritto dei genitori e dei figli al rispetto della loro vita familiare. Tali restrizioni supplementari comportano infatti il rischio di troncare le relazioni familiari tra i genitori e un figlio in giovane età (ibidem, § 211).

ii. Applicazione dei principi sopra menzionati nel caso di specie

90. La Corte osserva che le due figlie della ricorrente sono state dichiarate adottabili con una decisione non definitiva del tribunale per i minorenni, che aveva ritenuto che si trovassero in stato di abbandono, poiché la loro madre, una cittadina nigeriana arrivata in Italia in quanto vittima di tratta, non aveva, secondo il tribunale, le capacità genitoriali necessarie per allevarle. Il tribunale, nella sua sentenza, ha deciso di ordinare l’interruzione dei contatti tra la ricorrente e le figlie, pur sapendo che la sentenza avrebbe potuto essere modificata dalla corte d’appello, e senza indicare nella sua decisione i motivi urgenti che l’hanno spinto ad adottare una decisione così grave.

91. La corte d’appello, alla quale la ricorrente aveva presentato una richiesta di provvedimenti cautelari e urgenti volta a ottenere la sospensione del divieto dei contatti, ha respinto tale richiesta otto mesi dopo, e ha incaricato un esperto di valutare se gli incontri fossero nell’interesse delle minori. La Corte osserva che, nonostante i risultati della perizia, che sottolineavano l’importanza del mantenimento dei contatti al fine di costruire l’identità delle minori (paragrafo 36 supra), la corte d’appello, nella sua sentenza successiva che confermava lo stato di adottabilità delle minori, ha deciso che i contatti non dovessero riprendere, dato che, con la dichiarazione di adottabilità, il legame con la famiglia di origine veniva interrotto. Ancora una volta, la corte d’appello, nella motivazione della sua sentenza, non ha spiegato i motivi per i quali i contatti dovessero essere interrotti prima che la sentenza relativa all’adottabilità delle minori divenisse definitiva.

92. La Corte deve esaminare se, nell’adottare le decisioni sopra menzionate, le autorità interne abbiano sufficientemente tenuto conto del loro obbligo positivo di agevolare il ricongiungimento familiare, garantito un giusto equilibrio tra gli interessi coesistenti e formulato dei motivi pertinenti e sufficienti di natura tale da dimostrare che le circostanze della presente causa rivestivano un carattere così eccezionale da giustificare una rottura completa e definitiva dei legami tra le minori e la ricorrente. La Corte osserva che, nel caso di specie, la sentenza relativa all’adottabilità non è ancora divenuta definitiva, e che l’adozione non è ancora stata pronunciata.

93. Il Governo ha basato la sua tesi sui problemi che pone l’affidamento a lungo termine; a suo parere, il minore affidato vive nell’incertezza tra i suoi genitori biologici e i suoi genitori affidatari, il che comporta problemi quali dei conflitti di lealtà.

94. La Corte è pienamente consapevole che l’interesse del minore nel processo decisionale deve essere la considerazione preminente (su tale diritto del minore si veda il Commento generale n. 14 (2013) del Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia, paragrafo 38, citato nel paragrafo 53 supra). Essa osserva, tuttavia, come sottolineato anche dalla Corte di cassazione nella sua sentenza, che le autorità non hanno cercato di procedere ad un vero e proprio esercizio di bilanciamento tra gli interessi delle due minori e della ricorrente, e che non hanno seriamente previsto la possibilità di mantenere un legame tra le minori e la ricorrente nonostante le raccomandazioni della perizia, e sebbene la procedura fosse pendente e la sentenza relativa all’adottabilità non fosse definitiva.

95. In questo contesto, la Corte, in particolare, non è convinta che le autorità interne competenti abbiano debitamente tenuto conto del legame profondo esistente tra la ricorrente e le sue figlie, e dei danni che un’interruzione definitiva dei contatti avrebbe potuto causare, tanto più che la procedura di adottabilità è a tutt’oggi ancora pendente da più di tre anni.

96. La Corte ritiene significativo che la corte d’appello abbia inizialmente respinto la richiesta di provvedimenti cautelari e d’urgenza basandosi sulla relazione che era stata ordinata dal tribunale più di un anno prima. I motivi esposti in tale decisione (paragrafo 33 supra) si soffermano esclusivamente sugli effetti potenziali di un eventuale ritorno delle minori presso la ricorrente e di una nuova interruzione dei contatti, piuttosto che sui motivi che hanno condotto a interrompere qualsiasi contatto tra le minori e la ricorrente.
Inoltre, nella sua sentenza sul merito, la corte d’appello non ha tenuto conto delle conclusioni della perizia, nella parte in cui si evidenziava il legame profondo esistente tra la ricorrente e le sue figlie, e la necessità che fossero mantenuti dei contatti. Essa non ha nemmeno espresso dei motivi pertinenti su questo punto, e si è limitata ad affermare che l’interruzione dei contatti era la conseguenza della dichiarazione dello stato di adottabilità.

97. Successivamente, la Corte di cassazione, alla quale si era rivolta la ricorrente per ottenere l’annullamento della sentenza della corte d’appello, ha concluso che quest’ultima giurisdizione non aveva correttamente applicato il principio secondo il quale l’adozione viene pronunciata come ultima ratio, quando non vi è interesse a che il minore mantenga una relazione significativa con i suoi genitori biologici, o quando tale legame potrebbe recargli pregiudizio. La Suprema Corte ha ritenuto che la corte d’appello avrebbe dovuto valutare se fosse nell’interesse delle minori mantenere un legame con la ricorrente alla luce delle conclusioni della perizia e, se del caso, se vi fosse un modello diverso di adozione che potesse essere applicato al caso di specie nell’interesse delle minori. Il modello al quale si riferiva la Corte di cassazione era quello dell’adozione semplice prevista nel sistema giuridico italiano per i casi in cui è nell’interesse dei minori (articolo 44 della legge sull’adozione) mantenere il legame con i genitori naturali.
La Corte di cassazione ha considerato che, in sede di verifica dello stato di abbandono, la corte d’appello avrebbe dovuto esaminare se l’interesse a non interrompere il legame con la ricorrente prevalesse sull’insufficienza delle sue capacità genitoriali. In particolare, la corte d’appello non aveva tenuto conto delle conclusioni della perizia, da cui risultava la necessità, per le minori, di mantenere un legame con la ricorrente al fine di costruire la loro propria identità.

98. La Corte ribadisce la propria posizione secondo la quale, in generale, da un lato, l’interesse superiore del minore impone che i legami tra lo stesso e la sua famiglia siano mantenuti, salvo nei casi in cui quest’ultima si sia dimostrata particolarmente indegna: rompere tale legame significa tagliare al figlio le sue radici. Di conseguenza, solo delle circostanze del tutto eccezionali, in linea di principio, possono portare a una rottura del legame familiare, e deve essere fatto il possibile per mantenere le relazioni personali e, se del caso, al momento opportuno, «ricostruire» la famiglia (Gnahoré c. Italia, n. 40031/98, § 59, CEDU 2000 IX). D’altra parte, è evidente che garantire al minore uno sviluppo in un ambiente sano rientra in tale interesse, e che l’articolo 8 non può autorizzare un genitore ad adottare misure pregiudizievoli per la salute e lo sviluppo di suo figlio (Strand Lobben e altri, sopra citata, § 207). Esiste un importante consenso internazionale per quanto riguarda l’idea che il minore non deve essere separato dai suoi genitori contro la sua volontà, a meno che le autorità competenti non decidano, con riserva di revisione giudiziaria e conformemente alle leggi e procedure applicabili, che tale separazione è necessaria nell’interesse superiore dello stesso (si veda l’articolo 9 § 1 della Convenzione delle Nazioni unite sui diritti dell’infanzia, riportato nel paragrafo 51 supra). Inoltre, spetta agli Stati contraenti stabilire delle garanzie procedurali pratiche ed effettive che permettano di monitorare la protezione e l’attuazione dell’interesse superiore del minore (si veda il Commento generale n. 14 (2013) del Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia sul diritto del minore a che il suo interesse superiore sia considerato preminente, paragrafi 38, 85 e 87, citati nel paragrafo 53 supra).

99. La Corte non perde di vista il fatto che, anche se spetta in linea di principio alle autorità interne pronunciarsi sulla necessità delle relazioni peritali (si veda, per esempio, Sommerfeld c. Germania [GC], n. 31871/96, § 71, CEDU 2003 VIII (estratti)), essa ritiene che, nel caso di specie, sebbene fossero disponibili delle soluzioni meno radicali, i giudici interni hanno comunque deciso di interrompere tutti i contatti tra la ricorrente e le sue figlie nonostante le raccomandazioni della perizia, provocando in tal modo l’allontanamento definitivo e irreversibile dalla loro madre (Akinnibosun c. Italia, n. 9056/14, § 83, 16 luglio 2015, e S.H. c. Italia, n. 52557/14, § 56, 13 ottobre 2015). Essa sottolinea che le giurisdizioni non hanno effettivamente valutato se la rottura definitiva dei contatti con la ricorrente sarebbe stata effettivamente corrispondente all’interesse superiore delle minori.

100. Ora, nel caso di specie, la Corte osserva che la corte d’appello, una giurisdizione specializzata composta da due giudici professionisti e da consiglieri onorari, non ha tenuto conto delle conclusioni della perizia nella parte in cui era raccomandato il mantenimento dei legami tra la ricorrente e le minori, e non ha precisato nella sua decisione i motivi che l’hanno condotta a non prendere in considerazione tali conclusioni. Del resto, la Corte rammenta che, secondo il parere n. 15 del Consiglio consultivo dei giudici europei (paragrafo 58 supra), la preferenza deve essere data a un sistema in cui il giudice nomina un perito o in cui le parti possono esse stesse chiamare a far testimoniare dei periti le cui constatazioni e conclusioni possano essere contestate e dibattute tra le parti dinanzi al giudice.

101. Nel caso di specie, sebbene non vi fossero indizi di violenza o di abusi commessi sulle sue figlie, e contrariamente alle conclusioni della perizia, la ricorrente è stata privata totalmente del diritto di visita, mentre la procedura di adottabilità è a tutt’oggi ancora pendente. La Corte osserva, per di più, che i giudici, senza motivare particolarmente le loro decisioni su questo punto, hanno collocato le minori in due famiglie diverse, il che ha ostacolato il mantenimento dei legami tra le sorelle. Questa misura, dunque, ha provocato non soltanto la separazione della famiglia, ma anche la rottura del rapporto tra sorelle, ed è stata contraria all’interesse superiore delle minori (Y.I. c. Russia, n. 68868/14, § 94, 25 febbraio 2020, Soares de Melo c. Portogallo, n. 72850/14, § 114, 16 febbraio 2016, S.H., sopra citata, § 56, e Pontes c. Portogallo, n. 19554/09, § 98, 10 aprile 2012).

102. La Corte osserva che le decisioni in questione sono state prese sebbene la ricorrente fosse vittima di tratta. Anche se le autorità le hanno fornito un’assistenza sanitaria e un sostegno sociale, la Corte osserva, invece, che le giurisdizioni non hanno tenuto presente la situazione di vulnerabilità nella quale si trovava la ricorrente per valutare le sue capacità genitoriali e la sua domanda volta a mantenere dei contatti con le sue figlie. Nel caso di persone vulnerabili, le autorità devono dare prova di un’attenzione particolare, e devono assicurare loro una maggiore tutela (B. c. Romania (n. 2), n. 1285/03, §§ 86 e 114, 19 febbraio 2013, Todorova c. Italia, n. 33932/06, § 75, 13 gennaio 2009, R.M.S. c. Spagna, n. 28775/12, § 86, 18 giugno 2013, Akinnibosun c. Italia, sopra citata, § 82, Zhou, sopra citata, §§ 58-59, e, mutatis mutandis, S.M. c. Croazia [GC], n. 60561/14, 25 giugno 2020 relativa agli obblighi positivi imposti agli Stati dall’articolo 4 della Convenzione in materia di lotta contro la tratta di esseri umani e la prostituzione forzata).

103. La Corte, di conseguenza, ritiene che, alla luce della gravità degli interessi in gioco, spettasse alle autorità competenti valutare la vulnerabilità della ricorrente in maniera più approfondita nel corso del procedimento in questione. Essa rammenta, a tale riguardo, che l’articolo 12, paragrafo 7 della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani prevede che si tenga debitamente conto delle speciali esigenze delle persone che si trovano in una condizione di vulnerabilità (paragrafo 57 supra) (S.M. sopra citata).

104. Inoltre, dalle decisioni del tribunale e della corte d’appello risulta che i giudici interni hanno valutato le capacità genitoriali della ricorrente senza tenere conto della sua origine nigeriana, né del modello diverso di attaccamento tra genitori e figli che si può riscontrare nella cultura africana, sebbene ciò sia stato ampiamente evidenziato nella relazione peritale (paragrafo 34 supra).

105. Alla luce di quanto sopra esposto, la Corte conclude che, durante lo svolgimento del procedimento che ha portato all’interruzione dei contatti tra la ricorrente e le sue figlie, non è stato ritenuto sufficientemente importante permettere all’interessata e alle figlie di conoscere una vita familiare. Essa ritiene, pertanto, che il procedimento in causa non abbia presentato garanzie proporzionate alla gravità dell’ingerenza e degli interessi in gioco. Di conseguenza, la Corte conclude che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione.

II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE

106. La ricorrente lamenta di non disporre di un ricorso effettivo che le permetta di far valere la sua doglianza basata sull’articolo 8. La stessa invoca l’articolo 13 della Convenzione, che è così formulato:

«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.»

107. Tenuto conto della conclusione alla quale è giunta per quanto riguarda l’articolo 8 della Convenzione (paragrafo 105 supra), la Corte ritiene non doversi esaminare separatamente la doglianza fondata sull’articolo 13.

III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

108. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno morale

109. La ricorrente chiede la somma di 30.000 euro (EUR) per il danno morale che afferma di avere subìto a causa dell’interruzione dei contatti con le figlie.

110. Il Governo contesta questa pretesa, e chiede alla Corte di respingerla.

111. Tenuto conto delle circostanze del caso di specie, la Corte considera che l’interessata abbia subito un danno morale che non possa essere riparato con la semplice constatazione di violazione dell’articolo 8 della Convenzione. Essa ritiene, tuttavia, che la somma richiesta a tale titolo sia eccessiva. Considerati tutti gli elementi di cui dispone, e decidendo in via equitativa, ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione, essa accorda alla ricorrente la somma di 15.000 EUR per danno morale.

B. Spese

112. La ricorrente chiede la somma di 5.000 EUR per le spese sostenute ai fini del procedimento condotto dinanzi alla Corte.

113. Il Governo si oppone a tale richiesta.

114. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nel caso di specie, la Corte respinge la domanda relativa alle spese, in quanto la ricorrente non ha prodotto alcun documento giustificativo a tale riguardo.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
  3. Dichiara non doversi esaminare la doglianza fondata sull’articolo 13 della Convenzione;
  4. Dichiara,
    1. che lo Stato convenuto deve versare alla ricorrente, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza diverrà definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, la somma di 15.000 EUR (quindicimila euro), più l’importo eventualmente dovuto su tale domma a titolo di imposta, per danno morale;
    2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento tale importo dovrà essere maggiorato di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  5. Respinge la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 1° aprile 2021, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Ksenija Turković
Presidente

Renata Degener
Cancelliere